Non si
può non comunicare, diceva Paul Watzlawick.
Anche il silenzio è una comunicazione, a volte più potente di mille parole. Le parole sono sotto il controllo razionale e possiamo controllare ciò che diciamo. Quasi sempre, se ci impegniamo.
Ma la comunicazione avviene anche attraverso il linguaggio non verbale e lì è molto più difficile tenere sotto controllo i messaggi che mandiamo all'altro. Quando comunichiamo, attraverso la parola, il tono e il corpo, mandiamo un messaggio. Gli schemi interpersonali sono gli insiemi di aspettative che abbiamo rispetto alla relazione con l'altro, all'interno di tali schemi chiediamo all'altro (anche senza usare le parole) di comportarsi o di non comportarsi in un certo modo. Noi comunichiamo all'altro il modo in cui vorremmo che si comportasse con noi, e lo stesso fa l'altro con noi. Sperando che questi schemi siano simili o quantomeno complementari. Cosa molto rara. Le relazioni interpersonali mica sono una passeggiata!
Cosa mi aspetto che faccia l'altro e cosa gli dico sulle aspettative che ho sul suo comportamento nei miei confronti?
Mi amerà? Mi tradirà? Mi farà sentire una nullità?
Quanto vado in crisi se l'altro non si comporta rispetto a come vorrei? Come facciamo a fare in modo che lui si comporti in quel certo modo?
Gli schemi interpersonali non patologici sono caratterizzati primariamente da strategie funzionali e coerenti con aspettative interpersonali positive e dalla capacità di cambiare strategia se per caso l'aspettativa non viene realizzata, senza scompensarsi quando la relazione fallisce nonostante si siano provati tutti i modi per approcciarsi alla persona.
Se voglio sentirmi apprezzato cerco di comportarmi in maniera piacevole e disponibile, sperando che l'altra persona arrivi ad apprezzarmi; se per caso quella persona non apprezza la mia gentilezza, magari perché la trova troppo informale, cerco di cambiare strategia e di adottare un approccio dove mi mostro cortese, senza cercare di sembrare troppo invadente, rinunciando alla fine se quella persona ha messo un muro nonostante tutti i tentativi. Non possiamo essere amici di tutti, pazienza!
Purtroppo, ci sono anche schemi patologici.
Un primo elemento degli schemi patologici è l'uso di strategie maladattive: voglio sentirmi apprezzato, ma mi mostro violento perché sono nato in un contesto dove la troppa gentilezza viene confusa con la debolezza.
A meno che io non trovi una persona che apprezza la violenza perché nata in un contesto dove si esprime l'amore solo con la violenza è molto difficile che trovi qualcuno che vada d'accordo con me (e nel prossimo punto si capirà perché anche questa relazione è problematica).
Non sempre le nostre aspettative sono positive. Chi nasce in contesti di maltrattamento o pesante trascuratezza non può aspettarsi che l'altro sia in grado di apprezzarlo, non serve a niente quindi elaborare strategie per farsi apprezzare. Può innestarsi un meccanismo anche più perverso. Chi è stato maltrattato farà in ogni modo da evitare di farsi maltrattare: giocando in attacco, maltrattando l'altro invece di farsi maltrattare. È ovvio che l'altro, a meno che non sia un masochista, reagirà rispondendo con un maltrattamento. E confermando l'aspettativa di maltrattamento.
Non siamo soli al mondo, ci sono anche gli altri. Con schemi diversi dai nostri, problematici o meno.
Posso anche mostrarmi gentile, mandare un messaggio d'affetto, ma se l'altro non lo coglie o non lo apprezza (perché è nato in contesti anaffettivi e non ama le smancerie, perché non ha le abilità comunicative necessarie a rispondere adeguatamente, o magari perché ha avuto semplicemente un brutta giornata e gli girano le scatole) converrebbe cambiare modalità interpersonale o anche lasciarla in pace. Nei cicli interpersonali ciò non è possibile, non si ammette un cambio di strategia. Chi manda un messaggio d'affetto e riceve un rifiuto, contenuerà a mandare messaggi d'affetto, sempre più intensificati. Fino a quando l'altro, esasperato e oppresso da tale insistenza sdolcinata, non arriverà a mandarlo a quel paese, confermando di nuovo un' un'aspettativa di rifiuto. La rigidità cognitiva e affettiva arriva a equivalere a psicopatologia. Ci si ostina a cercare di avvitare una vite con cacciavite a stella quando la sede della vite è spaccata, domandandosi poi perché quella dannatissima vite non si decide a entrare nel buco. Questa rigidità interpersonale creerà una problematica relazionale, che potrebbe essere vissuta come irreparabile e intollerabile, arrivando nuovamente a confermare quell'aspettativa relazionale negativa, arrivando a convincerci che sono gli altri che ci odiano e maltrattano e che noi non possiamo farci niente per cambiare tale situazione.
Anche il silenzio è una comunicazione, a volte più potente di mille parole. Le parole sono sotto il controllo razionale e possiamo controllare ciò che diciamo. Quasi sempre, se ci impegniamo.
Ma la comunicazione avviene anche attraverso il linguaggio non verbale e lì è molto più difficile tenere sotto controllo i messaggi che mandiamo all'altro. Quando comunichiamo, attraverso la parola, il tono e il corpo, mandiamo un messaggio. Gli schemi interpersonali sono gli insiemi di aspettative che abbiamo rispetto alla relazione con l'altro, all'interno di tali schemi chiediamo all'altro (anche senza usare le parole) di comportarsi o di non comportarsi in un certo modo. Noi comunichiamo all'altro il modo in cui vorremmo che si comportasse con noi, e lo stesso fa l'altro con noi. Sperando che questi schemi siano simili o quantomeno complementari. Cosa molto rara. Le relazioni interpersonali mica sono una passeggiata!
Cosa mi aspetto che faccia l'altro e cosa gli dico sulle aspettative che ho sul suo comportamento nei miei confronti?
Mi amerà? Mi tradirà? Mi farà sentire una nullità?
Quanto vado in crisi se l'altro non si comporta rispetto a come vorrei? Come facciamo a fare in modo che lui si comporti in quel certo modo?
Gli schemi interpersonali non patologici sono caratterizzati primariamente da strategie funzionali e coerenti con aspettative interpersonali positive e dalla capacità di cambiare strategia se per caso l'aspettativa non viene realizzata, senza scompensarsi quando la relazione fallisce nonostante si siano provati tutti i modi per approcciarsi alla persona.
Se voglio sentirmi apprezzato cerco di comportarmi in maniera piacevole e disponibile, sperando che l'altra persona arrivi ad apprezzarmi; se per caso quella persona non apprezza la mia gentilezza, magari perché la trova troppo informale, cerco di cambiare strategia e di adottare un approccio dove mi mostro cortese, senza cercare di sembrare troppo invadente, rinunciando alla fine se quella persona ha messo un muro nonostante tutti i tentativi. Non possiamo essere amici di tutti, pazienza!
Purtroppo, ci sono anche schemi patologici.
Un primo elemento degli schemi patologici è l'uso di strategie maladattive: voglio sentirmi apprezzato, ma mi mostro violento perché sono nato in un contesto dove la troppa gentilezza viene confusa con la debolezza.
A meno che io non trovi una persona che apprezza la violenza perché nata in un contesto dove si esprime l'amore solo con la violenza è molto difficile che trovi qualcuno che vada d'accordo con me (e nel prossimo punto si capirà perché anche questa relazione è problematica).
Non sempre le nostre aspettative sono positive. Chi nasce in contesti di maltrattamento o pesante trascuratezza non può aspettarsi che l'altro sia in grado di apprezzarlo, non serve a niente quindi elaborare strategie per farsi apprezzare. Può innestarsi un meccanismo anche più perverso. Chi è stato maltrattato farà in ogni modo da evitare di farsi maltrattare: giocando in attacco, maltrattando l'altro invece di farsi maltrattare. È ovvio che l'altro, a meno che non sia un masochista, reagirà rispondendo con un maltrattamento. E confermando l'aspettativa di maltrattamento.
Non siamo soli al mondo, ci sono anche gli altri. Con schemi diversi dai nostri, problematici o meno.
Posso anche mostrarmi gentile, mandare un messaggio d'affetto, ma se l'altro non lo coglie o non lo apprezza (perché è nato in contesti anaffettivi e non ama le smancerie, perché non ha le abilità comunicative necessarie a rispondere adeguatamente, o magari perché ha avuto semplicemente un brutta giornata e gli girano le scatole) converrebbe cambiare modalità interpersonale o anche lasciarla in pace. Nei cicli interpersonali ciò non è possibile, non si ammette un cambio di strategia. Chi manda un messaggio d'affetto e riceve un rifiuto, contenuerà a mandare messaggi d'affetto, sempre più intensificati. Fino a quando l'altro, esasperato e oppresso da tale insistenza sdolcinata, non arriverà a mandarlo a quel paese, confermando di nuovo un' un'aspettativa di rifiuto. La rigidità cognitiva e affettiva arriva a equivalere a psicopatologia. Ci si ostina a cercare di avvitare una vite con cacciavite a stella quando la sede della vite è spaccata, domandandosi poi perché quella dannatissima vite non si decide a entrare nel buco. Questa rigidità interpersonale creerà una problematica relazionale, che potrebbe essere vissuta come irreparabile e intollerabile, arrivando nuovamente a confermare quell'aspettativa relazionale negativa, arrivando a convincerci che sono gli altri che ci odiano e maltrattano e che noi non possiamo farci niente per cambiare tale situazione.
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