martedì 27 giugno 2017

Scuole di pensiero

La terapia cognitivo comportamentale fa leva sulla sua capacità di trattare con efficacia ed efficienza molti disturbi psicologici, con buona pace di svariati modelli terapeutici tragicamente noti per essere inconcludenti e campati per aria. Nella perenne guerra fra orientamenti terapeutici può capitare di cedere il passo ad esigenze di marketing più che all'attenzione clinica. Il marketing porta ad omettere un elemento fondamentale: la CBT standard è efficace ed efficiente in tempi brevi con molti disturbi psicologici, non tutti. Lo psicoterapeuta si trova quindi di fronte a una scelta: la prima è concentrarsi unicamente su quei disturbi il cui trattamento è efficace col modello standard CBT, inviando a colleghi di altri orientamenti problematiche che non possono essere trattate da lui/lei.
È una scelta onesta e rispettabile se lo psicoterapeuta ha una rete di professionisti di altri orientamenti a cui fare riferimento (cosa difficile se è un fanatico della propria scuola di specializzazione), molto sensata e razionale, calcolando che comunque i disturbi per i quali la CBT risulta essere il protocollo di trattamento elettivo (disturbi dell'umore, disturbi d'ansia e disturbi ossessivi) occupano da soli 2 terzi delle richieste che possono essere fatte a uno psicoterapeuta.
Vi è poi l'altra scelta: non attenersi al modello standard, usarlo solo quando è utile, usarlo come guida, ma imparare ad abbandonarlo quando in terapia c'è un paziente con una problematica che non può essere trattata seguendo il protocollo.
Da questo punto di vista la psicoterapia diventa un lavoro artigianale, dove in alcuni casi bisogna fare in modo che sia il terapeuta ad adattare il proprio stile di lavoro al paziente, e non viceversa come succede con l'applicazione del protocollo, che a volte (non sempre!) va gettato alle ortiche.
È un lavoro dove bisogna coinvolgere creatività e coraggio.
È anche più divertente.
Nessuna di queste due scuole di pensiero è superiore all'altra, ci sta chi ne preferisce una e chi ne preferisce un'altra, questo vale sia per i pazienti che per gli psicoterapeuti.
Quest'ultimo deve avere ben chiaro quale dei 2 stili è quello che lo fa lavorare meglio.
C'è chi preferisce lavorare con una chiara procedura in testa.
E c'è chi ama sporcarsi le mani, scendere in trincea e combattere contro il malessere del paziente, a volte a fianco di  quest'ultimo, a volte trovandosi contro il paziente stesso quando si trova disorientato.
Basta scegliere.

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